Shopping, consumi, servizio al cliente e digitale: cosa succede nei mesi dopo il lockdown?

Ago / 2020 by
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La vampa d’agosto sfuma e i pensieri, non più rallentati dal caldo ;-), si riorganizzano per preparare la nuova stagione. Si sa, con l’arrivo di settembre, è un po’ come se fosse l’anno nuovo.
Ricomincia l’anno scolastico, riparte la stagione sportiva… e le aziende iniziano a pensare all’anno che viene, a studiare i budget, a fare progetti.

Dopo questi strani mesi del 2020, che sono sembrati quasi congelati, una sorta di parentesi di dormiveglia che, a ripensarci, è parsa a volte brevissima, a volte infinita, credo sia il momento buono per condividere qualche riflessione.

Cosa succede alle persone nella vita di tutti i giorni, a partire da un esempio personale (sì, c’entra il COVID-19).

Sabato sono stata a fare alcune commissioni. Sarei voluta andare al centro commerciale a comprare le lenti a contatto, ma il parcheggio era gremito di auto, come-succedeva-prima e ho preferito rimandare. La stessa situazione si è ripetuta altre due volte, per altre cose che avrei dovuto comprare. Ho portato a termine solo una delle quattro commissioni in programma.

Direte: il sabato è normale che ci sia gente, è il giorno in cui tutti vanno a fare la spesa e le compere. Certo, l’anomalia non è infatti questa, bensì la mia resistenza a frequentare aree tendenzialmente affollate, quella sensazione di disagio e tensione che sorge quando qualcuno si avvicina a meno di un metro e mezzo, per quanto abbia indosso la mascherina.

Succede anche a voi?

La bizzarra era Covid-19 sta avendo diversi effetti sulle persone, a volte divise in modo estremo fra gli atteggiamenti. Nel mezzo c’è la saggia prudenza, fatta di rispetto delle distanze, di uso dei dispositivi di protezione individuale… e di buona pratica di evitare le zone troppo affollate. Viviamo tranquilli (più o meno), ma stiamo cauti. 

Cosa significa questo in termini di avvicinamento al proprio pubblico?

Dobbiamo fare alcune riflessioni.


Cosa sta succedendo allo shopping e ai consumi e che opportunità ci sono

Superato il periodo di slancio emotivo dei flashmob dai balconi, in quella specie di esorcizzazione collettiva per mezzo del canto, siamo passati a una ‘nuova normalità’ fatta di volti coperti, distanze e saluti battendo i pugni. Ma anche di nuovi modi di fare shopping.

Se l’ingresso nei negozi è contingentato, si riduce la possibilità di andare a ‘fare un giro’ nei negozi; nella maggior parte dei casi probabilmente ci si va solo se è necessario e se c’è reale interesse a comprare qualcosa; molti negozi permettono di fissare appuntamenti per lo shopping, cosa che apre a nuove possibilità di assistenza e di servizio al cliente. 

Quale migliore occasione di fare da personal shopper, per aiutare il cliente ad acquistare il necessario nella riserva di tempo che gli è dedicata? 

È forse una seconda occasione per i negozi indipendenti, che possono avere un vantaggio relazionale rispetto alle grandi superfici che tendono a essere sempre un po’ spersonalizzate?

Questo ci porta a valutare e sviluppare un modo di comunicare più attento, forse nuovo, sicuramente più consapevole.


Il lockdown è stato il riscaldamento: ora comincia la corsa

Durante il lockdown, molte attività si sono aperte al digitale, in qualche modo. C’è chi ha iniziato a inserire piccole vetrine e carrelli della spesa nei propri siti e nei social network, avviando il servizio a domicilio. C’è chi ha iniziato a fare tour virtuali del negozio; c’è chi ha intensificato la propria presenza su Whatsapp e Telegram per stare vicino ai clienti e offrire loro un’esperienza ‘quasi-come-in-negozio’.

Possiamo dire che il periodo di chiusura totale della scorsa primavera ha dato una forte spinta alla digitalizzazione di molte aziende, di ogni dimensione. C’era una certa resistenza al digitale; l’agenda digitale, in generale, faceva fatica a trovare spazi di sviluppo e c’è voluta una situazione estrema per darle una scossa, come la pioggia di rane nel film Magnolia, che colpisce i protagonisti fermi al semaforo.

I grandi, magari già strutturati e rodati, hanno implementato le piattaforme e i sistemi esistenti per sopportare l’onda anomala di richieste. È il caso della GDO, ad esempio: se qualcuno a marzo e aprile ha provato a fare la spesa online sul sito di qualche supermercato, probabilmente ha sperimentato gli enormi disagi di piattaforme inceppate, di liste di attesa di ore per accedere agli shop, di utenti buttati fuori dal sistema a un passo dal pagamento, di tempi di consegna della spesa alimentare stimati in 4 settimane dall’ordine, ecc.

I medi, che magari avevano già in sviluppo iniziative di digitalizzazione, probabilmente si sono affrettati a realizzarle o a ultimarle per necessità e prospettive.

I piccoli, magari meno organizzati per lavorare a distanza, hanno dovuto trovare nuovi modi per continuare a fare il proprio lavoro -quando possibile- a negozi e uffici chiusi. Benché spesso siano meno abituati al digitale, potrebbero trarre grande beneficio dalla nuova marcia inserita. Hanno dalla loro il vantaggio si potersi muovere in modo agile proprio perché sono piccoli, poco strutturati, quindi snelli e rapidi a cambiare, se serve. 

Che si sia grandi, medi o piccoli, l’emergenza lockdown ha messo tutti di fronte a domande pressanti: Cosa fare? Come farlo? Come farlo bene? Come farlo bene con le piccole risorse disponibili? 
È naturale e saggio chiederselo e cercare delle risposte, ma è anche determinante trovare le persone giuste che accompagnino in questo cambiamento con professionalità, entusiasmo ed empatia.


Quello che vedo tutti i giorni e le domande che ne derivano

Ho sott’occhio parecchi account social, anche di realtà a carattere locale, regionale o interregionale e vedo in modo diretto quello che accade. I follower chiedono molto, molte piccole cose, chiarimenti e aiuti; lo fanno in modo schietto ed essenziale, come succederebbe al bancone del negozio di fiducia. Si affidano, si aspettano qualcuno dall’altra parte che risponda subito come farebbe un amico su Whatsapp.

Queste stesse persone chiedono di esplorare il negozio a distanza. Chiedono foto dei prodotti per trarre ispirazione, per guardare se c’è qualcosa che interessa, chiedono consiglio per personalizzare qualcosa, magari per un’occasione speciale. 

Nascono domande fondamentali per rendere produttiva la comunicazione sui social.

Quanti commercianti hanno delle foto buone (almeno ‘presentabili’) della loro offerta, che possano aiutare davvero i clienti capire a distanza cosa viene proposto? 

Quante aziende hanno a disposizione strumenti di promozione e vendita efficaci e adatti al rapporto a distanza? 

Quante persone se la sentono/sono in grado di metterci la faccia e diventare protagoniste dei contenuti che passano sui social network?

Quanti riescono a dare risposte veloci e puntuali via chat? 

Quanti riescono ad avere una visione di lungo periodo e a immaginare i prossimi passi invece di occuparsi solo delle contingenze?

È sempre più evidente la necessità di adottare con convinzione nuovi metodi e creare nuovi modi di mantenere il rapporto con la clientela; ci sono nuove esigenze da soddisfare per cercare di fare le cose di prima ma a distanza, o per inventare cose nuove. Tutto questo obbliga a prendere delle nuove strade, se si vuole rimanere in corsa e non cedere il passo e chi ha già trovato le sue nuove soluzioni.

Ci sono nuove facce dell’assistenza alla vendita che trova nuovo respiro, sperimenta nuovi modi di raccontarsi e richiede nuove attenzioni. O forse sono solo le ‘vecchie cose di bottega’ che ritornano più che mai.


Quale è la situazione oggi

Dato questo, cerco di fare un po’ il punto della situazione. Non voglio dare statistiche, non ho numeri, faccio un calcolo veloce della mia esperienza personale.

Diciamo che, per una PMI o una micro-impresa che decide di dialogare in modo pieno e costante con i suoi clienti e di sperimentare nuove vie, ce ne sono forse 2 che stanno cercando di fare del loro meglio ma senza metodo; e ce ne sono 3 che magari considerano ancora i social come le vecchie pagine pubblicitarie dei giornali o come delle perdite di tempo da ragazzini. 

Un recente articolo apparso sull’Ansa dichiara che, dalle indagini Istat, il 77% delle imprese con almeno dieci addetti sta investendo nel digitale, ma solo il 3,8% è in una fase di ‘maturità, cioè sta utilizzando in modo integrato le tecnologie disponibili.

I frutti sono ancora acerbi, in prevalenza.

L’articolo riporta poi che la maggior parte delle imprese utilizza ancora “un numero limitato di tecnologie, dando priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali e, necessariamente, cyber-security) e lasciando eventualmente a una fase successiva l’adozione di tecnologie applicative”.

E le imprese con meno di 10 addetti cosa stanno facendo?

E, per tutti, come si attua questa digitalizzazione, oltre che tramite le tecnologie?

La digitalizzazione utilizza le tecnologie, ma prima di tutto dovrebbe essere una filosofia operativa, un modo di vedere e intendere i processi e le relazioni.

Cosa ne pensate? Che esperienza avete a riguardo? 

Nel prossimo post condividerà un po’ di riflessioni sul senso della digitalizzazione e su cosa voglia dire ‘usare in modo integrato’ le tecnologie.

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