Digitalizzare è abbattere i confini (nella nostra testa)

Set / 2020 by
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Digitalizzare è abbattere i confini (nella nostra testa)

Nel post precedente ho riportato i dati di un articolo apparso sull’Ansa e relativo a un’indagine Istat secondo la quale “il 77% delle imprese con almeno dieci addetti sta investendo nel digitale, ma solo il 3,8% è in una fase di ‘maturità, cioè sta utilizzando in modo integrato le tecnologie disponibili.

Sono andata a cercare il report completo e risulta molto complesso e articolato e orientato soprattutto agli aspetti strutturali e produttivi dell’industria 4.0.

Nella presentazione si legge che

Nel censimento permanente il tema della digitalizzazione è stato interpretato integrando il monitoraggio degli investimenti in tecnologie digitali di tipo infrastrutturale (connessione a Internet, acquisto di servizi cloud, ecc.) con l’individuazione di investimenti più specializzati che possano segnalare uno spostamento verso il pieno utilizzo delle risorse digitali disponibili (Big Data, applicazioni di Internet delle cose, stampa 3D, robotica, simulazione, ecc.). In tale prospettiva, per maturità digitale si intende l’investimento in infrastrutture digitali non come obiettivo a sé, ma come condizione per ottimizzare i flussi informativi all’interno dell’impresa, con effetti positivi in termini di efficienza e competitività.

A completamento, i dati indicano anche l’utilizzo delle piattaforme digitali per la comunicazione verso l’esterno e la situazione risulta piuttosto eterogenea: ci sono settori poco presenti come quelli dei servizi postali, dell’industria del legno e quella delle costruzioni, e settori molto attivi come quello degli alloggi, l’industria turistica, le telecomunicazioni e l’editoria.

Questi numeri confermano quello che si può cogliere in modo sommario già guardandosi un po’ in giro, ma sono comunque molto interessanti perché ci danno una visione oggettiva della situazione, anche se limitata a un certo segmento del mondo imprenditoriale.

Tuttavia sono ‘solo numeri’. Non vorrei essere fraintesa, i numeri sono elementi preziosi per capire, valutare, scegliere, progettare, prevedere, però si limitano a fotografare una situazione in un preciso istante e, da soli, non ci spiegano nulla. Se comparati con altri possono aiutare a prevedere l’andamento di qualcosa, ma servono ingredienti aggiuntivi per capire i perché e i per-come di quelle evoluzioni e mutazioni. I numeri danno l’abbrivio, poi c’è da scavare.


Ad esempio, osservare quali settori sono tendenzialmente poco o tanto presenti sui social network ci può portare a ragionare su dove e come convenga esserci e quanto sarà faticoso emergere. Dove la concorrenza è poco presente può essere più facile farsi ascoltare, a patto che i clienti siano sufficientemente interessati; nella situazione opposta, i clienti si aspettano di trovare un’azienda online, ma è più impegnativo aprirsi un varco significativo e bisogna essere molto forti in termini di differenziazione.

C’è sicuramente spinta e curiosità verso la comunicazione che passa per il digitale, ma vedo anche ancora tanto scetticismo o, meglio, pregiudizio, da parte di molte PMI.

Noto che molte persone, molti imprenditori, si sono fatti tempo fa una loro idea degli ambienti digitali e non si sono mai preoccupati di aggiornarla, così rimangono restii non solo ad aprirsi ma in generale proprio a interessarsi a ciò che riguarda il digitale, in particolare nell’ambito della comunicazione. Dall’altra parte ci sono poi invece dei veri entusiasti, che provano e sperimentano tutto cercando di mantenersi sempre sulla cresta dell’onda.

In generale, che fare per dare una spinta alla cultura del digitale là dove è carente?

Forse bisogna iniziare a capire che cosa significa davvero.

Digitalizzare l’impresa inizia con l’abbattere un confine che sta nella nostra testa.

La digitalizzazione passa per molte porte e finestre. In breve, digitalizzare significa adottare tecnologie e strumenti informatici per semplificare le procedure e risparmiare tempo e risorse. La digitalizzazione porta a una ‘partecipazione diffusa’: gli spazi e i contesti si mescolano e integrano, si dematerializzano, non sono limitati al mondo fisico. Digitalizzare significa sia adottare strumenti (sistemi di cloud, siti, social media, CRM, piattaforme di email marketing, software vari che snelliscano le procedure e gestiscano automatismi) sia guardare le cose in modo diverso da prima. Non vuol dire abbandonare gli strumenti analogici, ma adottare una visione integrata, in cui non ci sia più un netto confine fra online e offline.

Dopo tutto nella vita di tutti i giorni è già così. Ci sono cose ‘digitali’ che sono diventate normali, diciamo ‘ordinarie’, come pubblicare pezzi della nostra vita ‘analogica’ sui social network, interrogare la rete per avere risposte veloci su una domanda improvvisa, come il titolo di un certo film o gli orari della farmacia sotto casa. Ci aspettiamo (ed è normale) di pagare un bonifico online, di prenotare le vacanze da una app, di guardare online quanto costa più o meno un certo articolo che ci interessa.

Se è così nella vita privata, perché non dovrebbe esserlo nella vita professionale?


Tante volte mi trovo ad assistere a situazioni nelle quali sembra che il fatto di entrare in ufficio, negozio, officina, bottega, faccia dimenticare tutto il resto, faccia dimenticare il nostro ‘essere persone normali fuori di lì’, quasi ci fossero due mondi scissi.

Ci dimentichiamo che, come noi ci aspettiamo certe cose dai nostri fornitori, così i nostri clienti si aspettano le stesse cose da noi. Ci dimentichiamo di essere noi stessi clienti.
Capita anche a te?

Quanto ci rassicura il fatto di poter dialogare con i nostri negozi e referenti di fiducia tramite una chat e avere risposta in pochi minuti? O trovare informazioni complete e utili sul loro sito; accedere ai social network e vedere le novità senza dover andare in negozio; trovare indicazioni e consigli pratici sull’utilizzo di un certo prodotto, proprio nel momento in cui ne abbiamo bisogno; guardare online i referti di un esame invece che andare a fare la coda all’ospedale?

Ancora una volta: se a noi come clienti questo fa piacere, se lo apprezziamo, perché per i nostri clienti non dovrebbe valere lo stesso?
Certe risposte sembrano scontate, però a pensarci bene, ciascuno di noi su qualcosina zoppica un po’, non credi? Io mi sto impegnando a rendermi conto di quando mi accade.
Cerco di lavorare sulle mie ‘scorciatoie mentali’ (gli psicologi direbbero ‘bias’) per osservare le cose in modo più chiaro e limpido. Non è facile prendere se stessi per le orecchie, ma pian pianino…

Tornando al tema principale: perché così tante aziende continuano a rifiutarsi di avere una presenza significativa in rete? Di stare vicino ai clienti in modo fluido? Perché si ostinano a rimanere acerbi?

Forse semplicemente non sanno come passare alla fase successiva o non pensano di poterlo fare.

Ne parliamo nel prossimo post.

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